Perché Google Ads è uno strumento full-funnel

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Rimani abbastanza a lungo nei pressi di un advertiser e questo inizierà a parlarti di funnel. Di stimolare e intercettare attenzione. Di TOFU, MOFU, BOFU e di altre strane sigle.

Il funnel. Ideato per la prima volta nel 1898 (sì, più di centoventi anni fa) da Elias St. Elmo Lewis, pubblicitario che per la prima volta razionalizzò un concetto per nulla scontato: prima di diventare nostri clienti, le persone hanno bisogno di tempo e di affrontare un percorso più o meno complesso.

Per descrivere questo processo, pensò a una piramide rovesciata; un vero e proprio imbuto (da cui il termine “funnel”) sempre più stringente dall’alto verso il basso, diviso in tre parti:

- Il Top of Funnel, o TOFU

- Il Middle of Funnel, o MOFU

- Il Bottom of Funnel, o BOFU

Tre momenti, con precisi obiettivi da raggiungere.

In alto nel funnel (TOFU), stimoliamo consapevolezza verso i nostri prodotti o servizi. Ci rivolgiamo a chi ancora non ci conosce e fa parte soltanto di una più vasta platea di potenziali clienti, simili tra loro per caratteristiche e comportamenti.

Al centro del funnel (MOFU), l’obiettivo cambia. Quando l’utente si è in qualche modo interessato a noi diventa fondamentale stimolare considerazione verso la nostra offerta.

Al fondo del funnel (BOFU) abbiamo infine di fronte a noi un pubblico consapevole e reattivo: sa chi siamo, cosa vendiamo e perché potremmo fare proprio al caso suo. In quest’ultima fase stimoliamo conversione: è il momento di chiedere all’utente di comprare.

Queste tre fasi, naturalmente, non sono distinte in modo arbitrario.

Chiedi a qualcuno che non ti conosce di comprare qualcosa da te e otterrai un secco “no” mosso più dalla pancia che dalla ragione. Insisti troppo e prematuramente sulla vendita verso chi deve ancora risolvere una valanga di dubbi e otterrai lo stesso risultato.

Al tempo, Lewis si riferiva ai “vecchi” media (che ai suoi tempi erano solo “media”), vale a dire principalmente la carta stampata. Nel corso degli anni, il concetto di funnel è stato espanso e rielaborato: alcuni hanno ripensato il MOFU, dividendolo tra interesse e desiderio (portando alla nascita del modello AIDA: Awareness, Interest, Desire, Action). Altri, più recentemente, hanno elaborato un modello a “clessidra” che vede ora il BOFU (il momento finale dell’acquisto) come nuovo punto di partenza per strategie di up/cross-selling.

La cosa più importante da ricordare è che in advertising il funnel, prima di ogni altra cosa, è soltanto un modello. Potente, certo, ma intrinsecamente limitato nel voler razionalizzare un percorso d’acquisto che spesso così razionale non è.

Vedi, per quanto potremmo essere tentati di semplificare le cose, la realtà è che gli utenti non percorreranno il nostro funnel nella precisa sequenza che abbiamo immaginato.

A dire il vero, più che venire trascinati in un “vortice” dall’alto verso il basso, un potenziale cliente oscilla continuamente tra tutte le fasi del funnel tanto più complessa è l’esigenza che deve risolvere.

D’altronde, quante volte cercando un qualunque prodotto o servizio hai finito soltanto per ottenere nuove domande a cui trovare risposta? Quanto spesso hai dovuto mettere in discussione la tua ipotesi, mentre diventavi sempre più consapevole dell’offerta?

Abbiamo quindi bisogno di strumenti che possano dirsi full-funnel. Capaci cioè di intercettare l’utente attraverso tutte le fasi di questo percorso. E se sei arrivato fino a qui, potrai immaginare come quello strumento è proprio Google Ads.

Cosa significa affermare che Google Ads è uno strumento full-funnel?

Semplicemente che attraverso la piattaforma pubblicitaria di Google possiamo intercettare un potenziale cliente dal primo momento utile (quando ancora non ci conosce ma fa parte di un’audience potenziale) fino all’avvenuto acquisto. E oltre. No, non è affatto poco.

Nel corso degli anni ho avuto l’enorme privilegio di lavorare con clienti di alto profilo in decine di nicchie diverse, gestendo budget pubblicitari da decine di migliaia di euro al mese e formando centinaia di corsisti in azienda, in aula e online. Oggi voglio raccontarti perché Google Ads è ancora oggi un pilastro dell’advertising che non puoi trascurare, qualunque sia la tua dimensione aziendale e il budget che intendi allocare.

TOFU

Quando ci troviamo nella parte alta nel funnel, dicevamo, abbiamo di fronte persone che sono ancora all’oscuro della nostra presenza. Dobbiamo quindi stimolare interesse e educarli alla nostra offerta. In Google Ads disponiamo di tre tipi di campagne che risolvono questa necessità.

Attraverso campagne di tipo display possiamo mostrare annunci illustrati (leggi: banner) su un vastissimo numero di siti web di terze parti facenti capo alla Google Display Network (o GDN). Sono questi siti che aderiscono alla rete Google AdSense e che diventano per un advertiser posizionamenti pubblicitari utili a raggiungere un numero elevatissimo di utenti mentre questi semplicemente navigano e si interessano ai temi più disparati.

Ancora, attraverso campagne di tipo ricerca possiamo mostrare annunci di testo agli utenti che effettuano ricerche in Google. In questa fase vorremo intercettare ricerche di tipo informativo/informazionale (per esempio, se vendo un software che migliora la gestione del magazzino: “come risparmiare tempo gestire ordini”). Naturalmente, i volumi per ricerche come queste saranno probabilmente elevati: lo scopo del traffico così ottenuto non sarà la vendita, quanto il posizionamento del brand quale realtà credibile e autorevole nel settore.

Seppure decisamente più costose, trovano certamente posto nel TOFU anche campagne di tipo video, in grado di erogare un annuncio di tipo, appunto, video, in YouTube e su una selezione di partner. Da non sottovalutare su progetti di più ampia portata e dove sussista la disponibilità di budget e la possibilità di produrre video ad-hoc.

È bene sottolineare come campagne rivolte al TOFU beneficino enormemente di blog aziendali e sezioni di stampo informativo che, al di là delle pagine di vendita più stringenti, possano effettivamente ricevere il traffico così generato e rispondere a un’esigenza inizialmente informativa.

Quali metriche osserviamo in questa fase?

  • Impressioni
  • Clic
  • CPM
  • Tempo di permanenza sul sito
  • Frequenza di rimbalzo

I KPI – o Key Performance Indicator - che teniamo d’occhio in questa fase sono utili per confermare l’esposizione delle campagne, a costi adeguati, in grado di generare traffico di qualità.

MOFU

Al centro del funnel, non cambiano i tipi di campagna che possiamo impiegare. Ancora, abbiamo display, ricerca e video. Cambiano però le loro meccaniche.

Al centro del funnel, abbiamo detto che gli utenti sono consapevoli della nostra presenza sul mercato. Forse, hanno intuito che tra tutti i nostri prodotti e servizi ne esiste uno che potrebbe fare al caso loro, ma si stanno ancora guardando intorno per comprendere le tante alternative (anche rispetto ai nostri competitor).

Ecco che allora nel MOFU entrano in gioco meccaniche di leggero remarketing. Andiamo cioè a lavorare verso un pubblico che sappiamo avere già visto una o più sezioni del nostro sito.

Cambia anche il messaggio, poiché ora sappiamo di poter erogare un annuncio display a un utente che ha visto di recente una pagina archivio. Sappiamo di poter mostrare un annuncio in ricerca a un utente che ha di recente sfogliato una categoria di prodotti. I nostri annunci video rispondono ora a domande più precise perché sono consapevoli di quanto l’utente abbia già interagito (nella parte alta del funnel) con altre proposte più semplici e introduttive al tema.

È soprattutto la modifica delle CTA (call-to-action) e del copy degli annunci che rende efficace l’architettura delle campagne in Google Ads rivolte al MOFU. Sapendo precisamente chi abbiamo di fronte giochiamo le nostre carte mostrando punti di forza e leve utili a valorizzare i nostri prodotti.

Entrano anche in gioco campagne ricerca erogate verso un pubblico “freddo” quando questo effettua ricerche qualificanti (per esempio, aggiungendo alla propria ricerca un preciso modello o sigla di prodotto). Ancora non cerchiano la vendita a tutti i costi, ma stimoliamo spunti di riflessione.

Quali KPI osserviamo in questa fase?

  • Clic
  • CPC (costo-per-clic)
  • Visualizzazioni
  • CPV (costo-per-visualizzazione)
  • Micro-conversioni

Nel MOFU, guardiamo con particolare attenzione a metriche che possano confermarci la volontà del target di approfondire la nostra proposta. Ecco quindi che insieme a clic e costo-per-clic, a visualizzazioni e costo-per-visualizzazioni monitoriamo micro-conversioni come l’iscrizione al sito, l’aggiunta di un prodotto a wishlist, la visita a pagine chiave e altre azioni che siano conferma di una precisa volontà di continuare a avere a che fare con i nostri prodotti e servizi.

BOFU

Eccoci infine nella parte bassa del funnel. Ancora una volta troviamo campagne display e ricerca, questa volta con un’accezione in remarketing più aggressivo, per esempio basato sul numero di pagine viste in un preciso periodo di tempo o su condizioni come l’avvenuta registrazione al sito o l’aggiunta di un prodotto al carrello.

È tempo di andare a conversione, per cui trovano posto in questa fase anche campagne Shopping, in grado di mostrare specifici prodotti del nostro e-commerce a chi effettua una ricerca sufficientemente pertinente in Google Shopping e tra i risultati di Google stesso.

Campagne ricerca, dove ancora erogate a un pubblico freddo, vengono adesso orientate verso ricerche di tipo “branded”, ovvero contenenti (insieme agli altri termini) il nome della nostra azienda o di una nostra marca o modello.

Quali KPI osserviamo in questa fase?

  • ROAS (ritorno sulla spesa pubblicitaria)
  • Transazioni/Contatti
  • ROI (ritorno sull’investimento)

Arrivati a questo punto, vengono lasciate da parte metriche legate all’awareness o all’interesse: l’attenzione è sulla vendita (o sull’acquisizione del contatto) e su metriche che descrivano l’efficacia dell’intera strategia a livello di fatturato. Consideriamo il ROAS, ovvero il ritorno in termini di fatturato rispetto alla spesa delle camapgne.

Ultimo KPI, ma in realtà primo tra tutti per chi fa advertising è proprio il ROI, ovvero il ritorno finale sull’investimento considerando costi accessori, marginalità e altro ancora.

Tempo e sensibilità

No, vendere qualcosa a qualcuno non è solo questione di vendere. Né di strillare più forte della concorrenza. Serve tempo e sensibilità. Servono strumenti che ci permettano di presidiare tutto il cammino dei nostri potenziali clienti. Google Ads è uno degli strumenti più potenti e flessibili per iniziare.

Ti aspetto live sulla pagina Facebook Dario Flaccovio Editore, il 21 luglio alle 15, per un confronto tra Google Ads vs. Facebook Ads insieme a Paolino Virciglio!

 

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