Appunti per il copywriter creativo e consapevole
/Se fosse facile, saremmo tutti copywriter creativi. Se ci fosse una ricetta valida per tutte le stagioni, in grado di piegare la parola e farne sempre uno strumento scientifico di persuasione, cultura e comunicazione, l’avremmo già trovata. Se fosse possibile catturare le “vere parole” grazie alla scrittura creativa, le avremmo già acciuffate e chiuse in uno scrigno.
Questa è la realtà. Scrivere è un atto umile, al punto che parlarne con toni celebrativi ci fa correre il rischio di tradirne la primordiale modestia. Di certo sappiamo che la “buona scrittura” nasce tanto dal gesto istintivo quanto dal lavoro quotidiano. È un percorso di ricerca lontano da accademie, dall’idea del “bello scrivere”, dalle torri d’avorio della scrittura creativa e da molti salotti della comunicazione.
Piuttosto, per come la vedo io, il copywriting o la scrittura non sono creativi se non quando impregnati di quella che chiamo “consapevolezza del ruolo e del mestiere”. In altre parole, se non quando rispondono all’urgenza di mettere in comune con il nostro destinatario ipotetico elementi, sensazioni, immagini. Percezioni infinitesimali che abbiamo bisogno di descrivere e illustrare perché prima di tutto ci fa bene viverle (o riviverle), e vogliamo spartire questo “bene” con chiunque abbia la voglia e il piacere di leggerci.
Si tratta di lavorare su un tipo di intuito che nuota a cavallo di due assi ben precisi – testo/contesto e autore/lettore – fino a scardinarli, così da trovare nuove vie per sgusciare fuori, come rigagnoli, alla scoperta della trama della realtà. Una realtà parziale e difficilmente ricostruibile da formulette, archetipi e mantra, per cui il nostro destino – il destino di chi esplora la geografia delle parole – sarà quello di tornare sul proverbiale “luogo del delitto” e cesellare ancora.
Il copywriter creativo sa produrre effetti positivi nel lettore
Un copywriter creativo e consapevole non ha risposte che riguardino la scrittura, ma si è allenato a viverne le domande e le urgenze. Perché solo quelle lo porteranno a costruirsi uno stile, una cassetta degli attrezzi e, al contempo, un atteggiamento efficace. Dopo 11 anni trascorsi nel mondo della comunicazione digitale, del Web, dei blog e dei Social Media sono giunto alla conclusione che allenare “la penna” sia tanto importante quanto addestrare gli occhi e il cuore. Solo così, infatti, è possibile cogliere quegli elementi nascosti che, adeguatamente trattati, diventano contenuti rilevanti, di qualità e quindi producono un effetto positivo nel destinatario. Il resto – non sono drastico, ma realista – è rumore di fondo, oppure invenzioni buone per un Content Marketing fin troppo “mordi e fuggi”.
Noi invece abbiamo bisogno di continuità. Di una scrittura creativa che rinnova la sua dignità nello stesso processo di realizzazione di un contenuto. Non a caso, nei miei corsi, insegno che un sonetto in rima, una body-copy o il post di un blog hanno lo stesso valore, al di là di regole compositive diverse, quando animati da quella invisibile ma immensa forza che è rappresentata dall’onorare in ogni modo il momento presente, quello in cui si scrive.
Un concetto molto semplice, questo, che ad alcuni interlocutori distratti sembra complicato. Allora ribatto e parlo della mia esperienza con quella che chiamo legge dell’osmosi. In anni di pratica ho notato che un testo (fatto di parole, ma anche di immagini, elementi grafici) accomuna autore e lettore in quanto soggetti capaci di emozionarsi, prendere posizione e riservare un certo atteggiamento nei confronti del testo stesso. Un modo per sintetizzare questo concetto potrebbe essere: “Se mi emoziono, ti emoziono”. Questo trasferimento di concetti e immagini creative non sorge come per magia, o in base a una non meglio precisata e oscura arte dello scrivere. Accade ogni qualvolta siamo particolarmente bravi a considerare un testo non come un grumo di parole più o meno ordinate, ma come uno spazio di incontro tra soggetti. Come la stanza d’onore in cui vogliamo invitare un amico che ancora non conosciamo. Un amico che rispettiamo, a cui non venderemmo mai bufale od opinioni costruite ad arte e che ha il diritto – se ci concede la sua attenzione – di essere informato, appassionato, conquistato.
Diventare copywriter creativo, scrivere per un sito, per un blog o per i Social Media è bellissimo. Perché, da questo punto di vista, significa lavorare con (e per) le persone. Certo, oltre al testo c’è il contesto di ricezione, per non menzionare il fatto che ogni canale possiede precise regole di composizione. Tre concetti valgono sempre: sintesi, efficacia, creatività. Ma la sintesi non è forse figlia della chiarezza con cui esaminiamo un argomento? L’efficacia non deriva forse da quanto crediamo in quanto stiamo dicendo? La creatività non nasce forse dal silenzio e dalla quiete che accompagnano il nostro lavoro quotidiano? E, allora, qual è il limite tra testo e noi stessi?
La scrittura creativa nel Digitale
Mi capita spesso di proporre ai miei studenti una sorta di analogia molto interessante tra scrivere e parlare in pubblico. Si dice infatti che l’efficacia comunicativa di un messaggio verbale dipenda solo per il 7% dalle parole usate e per il 55% dalla comunicazione non verbale o para-verbale. Ritengo che la scrittura (scrittura creativa, scrittura digitale, giornalismo, copywriting vero e proprio) segua uno schema simile per cui il lavoro del copywriter diventa un “atto emotivo”. Logiche di produzione industriale dei contenuti e moltiplicazione digitale delle piattaforme ce l’hanno fatto dimenticare, forse.
Il Digitale ha creato molta confusione in noi professionisti della parola e del byte, al punto che spesso diamo più peso al canale che a ciò che vogliamo o dobbiamo dire. Sono convinto – e ci mancherebbe! – che per realizzare un post per un blog, scrivere un tweet o il testo di accompagnamento di un’immagine da pubblicare su Instagram si debbano seguire regole compositive diverse: ogni mezzo è un territorio unico, e per questo ha schemi di funzionamento propri. Ma se noi, ancor prima di mettere mano alla penna o alla tastiera, ci concentriamo sul messaggio, sul contesto di ricezione e sui valori o bisogni (espliciti o meno) che caratterizzano il destinatario, abbiamo già ridotto la complessità compositiva e compiuto un passo in avanti verso il nostro obiettivo: comunicare, ossia mettere a disposizione dell’altro, in un territorio comune, animati dalla gioia di poterci giocare questa chance nel migliore dei modi e dal privilegio dell’umiltà.
Ecco cos’è la consapevolezza cui parlo nel mio libro: la capacità di considerare la scrittura digitale e il copywriting come una riscoperta progressiva di un territorio in cui l’Io diventa Noi. E, soprattutto, di lavorare sul contenuto con atteggiamento schietto, ricettivo e disposto ad accettare la complessità del medium digitale. Lavorare in silenzio, con rispetto, costanza e allenandoci a guardare laddove molti non osano. Là dove le parole finiscono, e iniziano le Parole.
Piero Babudro
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