Come difendersi dalle bufale online
I want to believe non è soltanto la tag-line dello storico X-Files ma quello che sembra essere l’atteggiamento di quella larga fetta di utenti poco scolarizzati digitalmente, una volta chiamati “utonti” in modo sarcastico, oggi fatti coincidere con la più usata definizione di analfabeti funzionali. In soldoni, persone che – accusate di pigrizia o stupidità – credono in modo religioso, più di una setta devota a un Grande Antico, alle peggiori bufale intralette online. Mi preme sottolineare quell’”intralette” perché basterebbe soffermarsi su un contenuto per più dei 3 secondi necessari per leggere il solo titolo, per comprendere di trovarsi di fronte una baggianata più grande dell’incidente di Roswell.
Ora, senza cadere nella ciappola, come direbbe l’ammiraglio Ackbar di Mon Calamari, della definizioni secondo la quale chi parla di analfabetismo funzionale ne è afflitto a sua volta, va da sé che un utente che viene “rapito” da una teoria strampalata e finanche assurda ha due vulnus fondamentali: La mancanza di attenzione e approfondimento nel leggere il contenuto. La mancanza di spirito di ricerca/critico.
Nel primo caso, la causa scatenante potrebbe essere il sovraccarico di informazioni a cui si è continuamente sottoposti online; in questo marasma, emerge in modo più naturale non chi argomenta meglio ma chi urla più forte per farsi sentire . Nel secondo caso, scattano dei meccanismi mentali interiorizzati, soprattutto in chi ha subito il mondo digitale portandosi dietro la mentalità pre-Internet. “L’ho letto su internet” diventa il nuovo “L’ho visto in televisione con evidente impatto su questo tipo di credibilità: la differenza sostanziale è che mentre la televisione è canale (teoricamente) confezionato in modo professionale e verificato, da uno a molti; la Rete è strutturata da molti a molti, dando la democratica possibilità a tutti di poter dire la propria. Ma se tutti dicono la propria, chi verifica? Si pone un problema di credibilità, argomento affrontato nella cornice istituzionale di #socialcom.
La credibilità superficiale dei siti di bufale
Per il sottoscritto e per il collega agente G., con il quale redigiamo i #socialfiles, i protocolli di comportamenti alieni alle buone logiche online; i siti di bufale dovrebbero essere portati via con un raggio traente. Questi si basano sull’assunto della credibilità superficiale ovvero su una ispezione sommaria e un approccio diretto alla pancia, più emozionale, che al cervello, più razionale. Una prima domanda sorgerebbe spontanea, se si riuscisse a emergere dai flutti dell’infodump (non possiamo certo avere le branchie come Abe Sapiens) è: ma la fonte? La cosa interessante è notare, per chi conosce il sottobosco social, è che in questo caso ci troviamo di fronte di una bufala costruita ad hoc per vedere quanti boccaloni ci siano. Dal nome del presunto pregiudicato (Ubuntu è una parola africana adottata come naming da una distribuzione Linux) ai vari errori ortografici, per non parlare della FONTE, che si, è citata, la pagina “Siamo la gente, il potere ci temono” a scopo umoristico. Altra bufala molto diffusa sui social è l’attribuzione di una citazione, spesso palesemente inventata, a un personaggio pubblico – allo scopo di esaltarla/svilirla a seconda della fazione. In questo caso, la presenza del personaggio stesso viene intesa come la fonte e, virtualmente, si può far dire di tutto a tutti che ci sarà sempre qualcuno capace di cascarci con tutte le scarpe. Un piccolo accorgimento sarebbe quello di cercare la frase incriminata su Google per controllare se questa è riportata su fonti un po’ più autorevoli dello zio che indossa l’Edgar-abito ma si tratta di un passaggio che rompe il flusso di impodump, al quale si sta attaccati come se ci fosse la gravità di Giove. Se pensi che talvolta sono scivolate sulle bucce di bufale persino portali che DOVREBBERO attuare un controllo, capisci che la situazione più grave di un Mars attack! Qui siamo dalle parti del famoso parente in Nigeria capace di lasciare faranoiche proprietà (e c’è ancora chi ci casca, bufala amarcord come gli extraterresti degli anni ‘50) e di recente c’è anche la versione di whatsupp. Bufale di questo tipo fanno leva sul sistema delle catene di S.Antonio, sfruttando la credibilità che un amico o un parente ha verso di noi, per veicolare informazioni false o dannose. Un po’ come gli alieni dell’immortale gioco per NES “Bart vs. Space Mutants” nel quale i visitatori dallo spazio profondo, si mescolavano agli abitanti di Springfield nelle fattezze di vicini di casa. Verrebbe da chiedere, ai solerti parenti, se il logo è poi diventato blu in seguito ad invii massivi.
Come difendersi dalle bufale?
Sebbene la situazione sia tanto grave (ma non seria, citando un extraterrestre dell’umorismo com Flaiano) da vedere il sorgere di siti anti-bufala; preme dare qualche consiglio di buon uso della Rete, ovviamente non per gli addetti ai lavori che conoscono bene questi meccanismi, ma per i propri parenti, amici e vicini: loro ti osservano, stai attento!
- Verifica sempre la fonte o cerca un comparativo.
- Non condividere solo perché hai letto un titolo accattivante.
- Non condividere citazioni che non trovano riscontro da nessuna altra parte.
- Se iniziano con “Clamoroso” o “Quello che nessuno ti dice” si tratta di meri clickbait per farti abboccare. Sei un pesce o un umano?
- Anche se il contenuto è stato condiviso da qualcuno di cui ti fidi, si tratta davvero di una persona qualificata in materia?
- Evita di condividere per presa di posizione, o come è successo “beh, se non ha fatto questo avrà fatto di peggio”. Un ragionamento simile mette in dubbio l’appartenenza alla cittadinanza terrestre.
Come vedi si tratta di stare con gli occhi aperti e segnalare al tuo agente anti-bufala più vicino la casistica. E tu? Sei mai cascato in una bufala?
Benedetto Motisi
Ho tenuto e tengo corsi per Upter, Politecnico di Milano, DoLab School di LUISS.
Aiuto ogni giorno singoli e aziende a trovare la giusta visibilità sul canale Search.
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