Come investire in Bitcoin nel 2023? 5 passi per il successo

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Nel mercato occidentale davvero in pochi non hanno mai sentito parlare di Bitcoin. Eppure, a quasi quattordici anni dalla sua prima apparizione (il 31 Ottobre 2008), si stima che in molti ancora non ne hanno compreso il potenziale finanziario, ed economico, rispetto a investimenti più tradizionali.

Sul piano economico, il Bitcoin nasce dai principi della Scuola Austriaca, di cui i più vicini sono Menger e Mises (seguiti da Rothbard e Hayek) i quali identificano nell’individualismo il principio dell’azione umana nella società, contrapposto alle pressioni della politica che, tramite regole e divieti, si appropria di una parte dei benefici dell’azione economica individuale per darli alla collettività, e alla politica in sé.

Il protocollo Bitcoin, pertanto, è stato costruito per funzionare senza il bisogno di un’autorità centrale che ne aggiusti le politiche economiche, offrendo un protocollo neutrale e individualista per detenere e scambiare valore, come le monete fino alla fine del Diciannovesimo Secolo, ma alla stessa velocità di Internet.

Ogni individuo deve assumersi la responsabilità di gestire i propri bitcon 

Come investire in Bitcoin nel 2023? Il primo passo, o meglio,  il “passo zero” per investire in Bitcoin è capire, e accettare, che si tratta di un protocollo di comunicazione le cui sole autorità sono due: la matematica/crittografia che ne garantisce il possesso e le transazioni; e l’individuo che “premendo un pulsante” istruisce il protocollo su quanto inviare o ricevere, riconoscendone il valore. In altre parole, nessun governo o organizzazione finanziaria ha possibilità di controllarne il funzionamento, quindi ciascuno deve considerarsi il solo responsabile dei propri Bitcoin. Soprattutto se decide di affidarli ad una società che ne ha la custodia!

Gli altri quattro passi sono:

2 definire la strategia di acquisizione

3 identificare la piattaforma di scambio (exchange)

4 definire i metodi di custodia e sicurezza (il wallet)

5 misurare e bilanciare

2. Definire la strategia di acquisizione 

Come indicato nel libro Investire Bitcoin, si possono acquistare, minare, o ricevere in cambio di beni e servizi.

L’acquisto è il metodo più semplice e diretto. In passato se ne comprava una somma unica come “scommessa” sul valore futuro, oggi invece è comune la strategia di accumulo, o dollar cost averaging, che si basa su una cadenza di acquisto settimanale o mensile, per esempio 25 euro a settimana, o 100 al mese. Questa modalità di accumulo, utilizzata anche da grandi società quotate a Wall Street come Microstrategy e Tesla, minimizza i rischi se il tasso di cambio del bitcoin scende, in quanto la stessa quantità di euro o dollari ne compra di più. Pertanto, anziché acquistare in una volta 1000 euro in bitcoin, ne acquistano 100 al mese (o 25 a settimana) nell’arco di 10 mesi.

Il mining è un’industria da miliardi di dollari, la quale richiede accesso ad energia elettrica a bassissimo costo e la volontà di allocare capitali importanti per acquistare e installare i minatori, ovvero dispositivi simili a computer (da tenere accesi 24 ore su 24) che generano piccole quantità di bitcoin ogni dieci minuti. In questo caso la strategia è vincente se si ha una fonte di energia elettrica che andrebbe sprecata, altrimenti è più rischiosa e meno efficiente rispetto all’accumulo.

Lo scambio, ovvero essere pagati in Bitcoin per beni e servizi offerti, è diventato molto più semplice e veloce con la diffusione del protocollo Lightning Network, il quale permette di ricevere transazioni in pochi istanti, senza dover attendere i tradizionali 10 minuti. Vi sono piattaforme che permettono di integrare Lightning sulla propria piattaforma e-commerce, o (come avviene comunemente in El Salvador) app per accettare bitcoin alla cassa di un esercizio commerciale tradizionale. Similarmente, si trovano servizi finanziari on-line per lavoratori dipendenti e liberi professionisti, i quali attivano un iban su cui ricevere un pagamento bancario tradizionale che trasforma una percentuale fissa (anche l’1%) in bitcoin, al tasso di cambio del momento.

L’accumulo è cresciuto, nell’ultimo triennio, come il metodo più utilizzato per iniziare ad investire in Bitcoin riducendo al massimo i rischi della sua volatilità.

Ho volutamente esclusoil trading o il day trading, in quanto l’asset bitcoin è molto volatile, pertanto si deve fare uso di opzioni e altre leve finanziarie per mitigare il rischio, strumenti in larga parte inaccessibili e troppo difficili per chi è agli inizi. Tentare di guadagnare bitcoin in operazioni di trading giornaliere, rischiando i bitcoin già accumulati, viene sbeffeggiato nella community come l’equivalente di “tentare di raccattare monetine sotto ad uno schiacciasassi in arrivo”. Da evitare.

3. Identificare la piattaforma di scambio (exchange) 

Mentre attendiamo che tutti quanti siano pronti a pagare e farsi pagare direttamente in bitcoin, occorre trovare un exchange dove scambiare i propri euro (o dollari).

La strada più breve, per i più pigri, è quella di andare su Google e cercare gli exchange crypto che operano in Italia e in Europa. Queste piattaforme, in cambio di sapere tutti i dati personali (inclusa una copia del passaporto e di un estratto conto bancario), accettano bonifici bancari e li mettono a disposizione per comprare bitcoin. Oramai quasi tutte queste piattaforme offrono metodi di accumulo, pertanto basta “ricaricare” il conto con un certo quantitativo di denaro, configurare l’acquisto su base settimanale o mensile, e l’exchange in automatico trasforma il totale del bonifico in piccole quantità di bitcoin, fino a quando non ci sono più euro da cambiare.

Vi sono alternative meno invasive per la privacy, ovvero exchange peer to peer che richiedono meno dati, mettendo in contatto gli individui che vogliono comprare e vendere. Sono una valida alternativa per chi vuole massima privacy (argomento controverso e sempre più attuale) ma sono ancora complicati per chi sta muovendo i primi passi.

Nel caso del mining, occorre individuare una mining pool a cui collegare i propri dispositivi. In questo modo, la potenza di calcolo viene trasformata in bitcoin, i quali diventano disponibili a distanza di qualche ora per essere prelevati. Anche in questo caso occorre cautela: la mining pool può da un lato trattenere i bitcoin (impedendo il prelievo), o venire a conoscenza di dati che si vorrebbe tenere privati, tra cui l’email e l’indirizzo IP (pertanto la località) da cui si connette il dispositivo minatore, esponendo l’impresa ad attacchi informatici.

Vi sono servizi che offrono cloud mining, ovvero piattaforme che permettono di comprare, collegare e gestire i dispositivi da remoto. Storicamente si sono rivelate poco affidabili, costose e meno remunerative, quindi è una strada da percorrere soltanto successivamente, da chi ha già dimestichezza con gli aspetti finanziari (tra cui le fluttuazioni dei mercati energetici nelle località dove si acquista il servizio) e sa muoversi nella community per raccogliere informazioni di prima mano.

Nel caso di beni e servizi, vi sono numerose piattaforme e-commerce e di “payroll” (gestione paghe bitcoin) che permettono di ricevere pagamenti in bitcoin. In questo caso occorre comunicare al proprio cliente, o al datore di lavoro, qual è l’iban su cui inviare il compenso pattuito, così che la piattaforma prescelta completi il processo in automatico. Si tratta di un settore ancora inesplorato, non sono molte le piattaforme attive, ma è prevedibile un aumento di queste soluzioni, specialmente dove il tasso di inflazione continuerà a rimanere troppo elevato.

4.Definire i metodi di custodia e sicurezza (wallet) 

Qual è il punto di possedere il Bitcoin, asset decentralizzato e indipendente da terze parti, se poi si lascia nelle mani di organizzazioni o aziende come qualsiasi altro titolo finanziario? Il rischio è che, in caso di fallimento di chi li custodisce, ci si dovrà avvalere di giudici e avvocati per farsi ridare i soldi – come visto con MtGox, una causa legale che va avanti dal 2014, o QuadrigaCX dal 2019.

Per evitare questi rischi, la custodia si fa normalmente tramite wallet non-custodial, ovvero applicazioni in grado di memorizzare sul proprio PC o smartphone le chiavi che avviano una transazione (in trasmissione e ricezione). Queste chiavi crittografiche vengono mostrate in “forma umana” tramite una lista di 12 o 24 parole, da trascrivere e memorizzare in modo sicuro e nell’ordine dato, così che in caso di guasto o smarrimento del dispositivo i bitcoin sono facilmente recuperabili altrove.

Un gradino più in alto abbiamo le app multifirma, sistemi che per autorizzare una transazione in uscita richiedono più di un dispositivo, a cui generalmente si aggiunge un codice di sei cifre (chiamato 2FA) così come avviene con i bonifici bancari. Il processo diventa più complicato e meno veloce per un utilizzo quotidiano, ma offre un livello aggiuntivo di sicurezza se si è vittima del furto delle chiavi memorizzate nel wallet.

Tenere in ordine la custodia dei propri bitcoin è solo metà del lavoro, occorre attivarsi per garantire la sicurezza dei propri bitcoin (e di sé stessi). Avere un dispositivo multifirma è inutile se si fa sapere sui social media quanti bitcoin si sono comprati nell’ultimo anno, o ci si vanta in pubblico di aver guadagnato migliaia di euro grazie all’investimento fatto. Questo tipo di messaggi genera interesse indesiderato da parte di malintenzionati e può esporre ad attacchi mirati, come (è già successo) rapine, ricatti e richieste di riscatto sull’uscio di casa. Di norma non si deve mai rivelare quanti bitcoin si sono acquistati, ma (se proprio si sente il bisogno) limitarsi a condividere quando e perché – e soltanto tra persone di fiducia e in privato, non su piattaforme social media, le quali non sono private per definizione. Vi sono persone che in passato hanno rivelato, sui social media, l’acquisto di migliaia di bitcoin a pochi dollari ciascuno, ignorando che una volta raggiunti i valori odierni si tratta di milioni di dollari, facilmente riconducibili al possessore grazie a foto/selfie, luoghi visitati e dove si vive. Con Bitcoin è importante non dare nell’occhio, tanto quanto tenere i propri wallet in ordine.

5. Misurare e bilanciare 

Come ogni impegno di natura finanziaria, è importante misurare qual è il rendimento e, ove possibile, stimare il rischio a cui ci si sta esponendo. Normalmente si seguono quattro passi chiave:

  1. Si misura il valore complessivo (in dollari o euro, anche entrambi) dell’asset Bitcoin nel proprio portafoglio finanziario.
  2. Se ne compara l’andamento su base trimestrale e annuale, tracciandone la volatilità (per esempio la differenza tra massimo e minimo, e la “weekly moving average”).
  3. Si misura quanto è prevalente, in percentuale, il bitcoin rispetto ad altri asset finanziari posseduti.
  4. Si aggiorna il valore medio di acquisto se sono state effettuate operazioni, e la differenza (in positivo o negativo) dal valore di mercato.

Sebbene esistano app e siti che automatizzano questa attività, basta un po’ di dimestichezza con i fogli di lavoro, tipo Excel, per avere un quadro ben chiaro della propria situazione finanziaria. Inoltre, utilizzare servizi online per questo tipo di misurazione include una terza parte, sconosciuta e da considerarsi non privata per definizione, nella conoscenza di quanti bitcoin si possiedono. Oggi potrebbe non sembrare un problema, ma quanto potrebbe cambiare in dieci anni da oggi, se il valore dovesse crescere tanto quanto l’ultimo decennio? Quanto diventerebbe rischioso per la privacy se il database di questo ipotetico servizio (con email e quantità di bitcoin posseduti) venisse sottratto e rivenduto sul dark web?

Anche se Bitcoin è stato l’asset più performante dell’ultimo decennio, non si garantisce che ripeterà gli stessi risultati in futuro. In ogni caso, qualora si assista ad una crescita “soltanto” di 10 o 100 volte il valore di acquisto iniziale, è altamente probabile che la prevalenza di Bitcoin nel proprio portafoglio finanziario cresca comunque a dismisura, aumentando l’esposizione della propria ricchezza alla sua volatilità.

È quindi diventato comune ribilanciare il portafoglio, vendendo una parte dei bitcoin per euro o dollari, da utilizzare per l’acquisizione di altri tipi di asset finanziari, con l’obiettivo di differenziare e gestire i rischi da volatilità. Ovviamente questo riduce il potenziale di crescita e indipendenza finanziaria che solo Bitcoin sa offrire, pertanto è una scelta da fare sulle basi delle proprie necessità, dell’appetito per il rischio e la situazione economica, sociale, burocratica e politica dove si vive, specialmente nei confronti di un asset che può essere ritenuto ostile da chi governa, si pensi alla Cina, in quanto pressoché impossibile da controllare e confiscare.

In pratica, è comune avviare una strategia di accumulo in senso opposto, ovvero vendere (per esempio) 10.000 euro di bitcoin nell’arco di qualche settimana anziché in somma unica, per trasformarli in altri asset finanziari che non siano strettamente correlati.

I metodi sono analoghi a chi investe in finanza tradizionale, e non è raro doversi affidare a società o broker che investono sui mercati tradizionali.

Purtroppo non è raro incorrere in istituti bancari e finanziari ostili a questo tipo di operazione, per incompetenza o specifiche scelte strategiche, pertanto è bene prima rivolgersi a professionisti (legali e commercialisti) che hanno dimestichezza con Bitcoin, altrimenti si rischia di avere (già visto) conti bancari chiusi, indagini per autoriciclaggio e cartelle esattoriali da contestare. Anche in questo senso occorre una valutazione informata del rischio, e non è raro doversi rivolgere al mercato unico europeo, ovvero banche e istituti finanziari basati in Paesi meno ostili al Bitcoin, così da rendere sostenibile economicamente e burocraticamente il processo “inverso” di liquidazione, rimanendo chiaramente all’interno del perimetro legale e fiscale dell’operazione.

In altre parole, è bene non perdere d’occhio la porta d’uscita del Bitcoin, non per abbandonarlo del tutto, ma per essere sempre in grado di coglierne i frutti quando si ha volontà.

In qualunque caso, vendere bitcoin per “differenziare” su altre criptovalute non ha senso: si tratta di asset strettamente correlati, quindi si moltiplica il rischio di volatilità anziché ridurlo. Se infatti Bitcoin scende, le altre criptovalute tendono a scendere in egual misura. Ma, al tempo stesso, se un’altra criptovaluta scende non è detto che questa abbia un’influenza su Bitcoin, il quale può rimanere invariato, o andare in direzione inversa.

Se quindi ci si trova in possesso di cifre a cinque o sei zeri in Bitcoin, comprare altre cryptocurrency incrementa la speculazione e l’esposizione ai rischi di questo tipo di asset, mentre liquidare parzialmente per rivolgersi ad altri asset tradizionali, più regolamentati e tendenzialmente meno volatili, ha l’effetto opposto – al costo di tornare ad essere parte di un gioco finanziario (nei termini definiti da Nash) controllato da politica, istituti bancari e monetari generalmente opachi, centralizzati, tendenzialmente arbitrari e storicamente avversi al piccolo capitalista/risparmiatore.

Il capitalismo insegna che ogni investimento che promette ritorni ha dei rischi. Maggiori sono i ritorni possibili, più elevati sono i rischi, e il Bitcoin non è estraneo a questo principio. La differenza rispetto agli investimenti più tradizionali è nei fattori che hanno la capacità di influenzare il suo funzionamento e la sua domanda sul mercato. Generata, a sua volta, dai rischi associati a scelte politiche sbagliate nel proprio Paese, effetti di contagio comuni nei mercati finanziari tradizionali, e politiche di controllo dei capitali che riducono o perfino bloccano i risparmi accumulati.

Come indicato sopra, l’acquisto di Bitcoin non impone l’utilizzo di intermediari, scenario che si è rivelato non soltanto fonte di benessere finanziario, ma anche di curiosità e quindi conoscenza verso i principi fondanti del capitalismo e del libero scambio. Questi principi, come li insegna la Scuola Austriaca, sembrano in larga parte “dimenticati” da finanza e politica economica attuali, ma offrono una prospettiva diversa e meno politicizzata per interpretare i fenomeni macroeconomici attuali. Pertanto, come si direbbe in linguaggio economico, Bitcoin con i suoi insegnamenti è un net positive indipendentemente dal valore nominale degli euro o dollari accumulati.

Come da prassi, si ricorda che nessuna delle indicazioni contenute in questo tipo di articoli o nel libro Investire Bitcoin sono da considerarsi un parere professionale o da utilizzare come fonte di decisioni finanziarie, in quanto l’autore, i revisori e chi pubblica questo articolo non hanno qualifiche riconosciute e certificate nella gestione del risparmio. Se si cerca questo tipo di aiuto e si sta prendendo questo tipo di decisione, è necessario rivolgersi agli istituti preposti e alle organizzazioni che hanno le autorizzazioni per analizzare, caso per caso, il quadro finanziario presentato, ricevendo un parere professionale certificato e nei termini di legge, prima di muoversi in qualsiasi altra direzione.

Stefano Pepe

Sito personale : spepe.me
Cresciuto con una tastiera al suo fianco, fa dell'innovazione la sua professione. Divulga il fenomeno Bitcoin come unione tra economia e tecnologia

Libri scritti da Stefano Pepe

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