Customer Experience: quello che dai, ricevi
/“Customer Experience” è il nuovo webbook di Giada Cipolletta, reperibile dal 13 novembre in tutte le librerie online e offline.
L’autrice ci guida lungo un percorso avvincente ed emozionante: quello effettuato dal cliente e dall’azienda, metaforicamente assimilabile ad un legame affettivo.
E come tutti i rapporti, comporta passione, ironia e molta pazienza!
Nella vita privata e nel lavoro sono tutti bravi a darci consigli su come conquistare o attirare l’attenzione di qualcuno. Pochi, pochissimi ci sanno spiegare come si fa a mantenerselo stretto quel qualcuno.
Beh, spesso hanno ragione: certe persone, a un certo punto, è bene che escano dalla nostra vita. Cambiano loro, cambiamo noi e la sopportazione non deve essere l’alibi per nascondere la paura di rimanere soli.
Ma, in altri casi, se si potesse fare qualcosa in più per coltivare un legame a cui teniamo?
Quando si sono superate le fasi inziali di conoscenza ed esplorazione, come si fa a vincere noia, abitudine e staticità, evitando (se possibile) malumori o tradimenti?
Customer Experience e relazioni: quello che dai, ricevi
Partiamo da un assioma: le relazioni richiedono la proprietà commutativa e rispondono alla legge della reciprocità: quello dai, ricevi.
Non è colpa dell’altro se le cose non vanno come speri. Tu giochi un ruolo da protagonista nella faccenda, nella vita privata e nel business.
Il rapporto che instauri con il tuo cliente ha molto in comune con le dinamiche di una storia d’amore: sei tu che ti sei a andato a scovare i clienti hai (nel bene e nel male) e la tua relazione con loro è potenzialmente eterna, finché dura.
Guarda questo ciclo vita di un cliente che acquista qualcosa e pensa a ogni fase come a una piccola evoluzione durante una relazione affettiva.
Ho deciso di accompagnarti, post dopo post, alla scoperta delle dinamiche che movimentano la tua/nostra quotidianità con clienti e utenti, cercando di individuare quali posso essere gli ingredienti per stuzzicare, vivacizzare o chiudere definitivamente il rapporto.
Ogni utente, ogni cliente, ognuno di noi è unico.
Ed è proprio interpretando e analizzando con consapevolezza le nostre singolarità che possiamo entrare in empatia con gli altri, imparando ad ascoltarli in modo attivo e offrendo loro il contenuto giusto, nel contesto giusto, nella forma giusta. Giusto? Mi sento un po’ come Omen di Zelig, lo confesso.
Ma torniamo alla nostra relazione. Ti stavo dicendo che se esistono migliaia di procedure che ci insegnano a calamitare l’attenzione, altrettanto esigue, invece, sono quelle che ci indicano come legare a noi qualcuno.
Il mantenimento di un rapporto, un po’ come quello delle diete, richiede pazienza, perseveranza e impegno. Bisogna alimentare la soddisfazione, promuovere iniziative per far sentire l’altro al centro dei nostri pensieri, coccolarlo, stimolare la sua lealtà affinché ci scelga spontaneamente per l’acquisto di nuovi prodotti/servizi o ci consigli ad altre persone, facendoci risparmiare un po’ di soldi in acquisizione e favorendo i nostri margini.
Customer Experience: questione di feeling
Hai mai fatto caso al fatto che gli innamorati (di qualcuno o di un brand) non ascoltano i consigli – leggi “recensioni”- dei detrattori? Ti sei mai chiesto perché? Perché perdono la capacità critica: quando ci si innamora veramente scompare la paura ed entra in gioco la fede (un credo che ha molto in comune con la religione).
Ecco, noi dobbiamo trasformare l’emozione, il desiderio legato all’acquisto, che è qualcosa di istantaneo e fugace, in un sentimento d’amore persistente nel tempo.
La customer experience è una questione di feeling: sensazioni e sentimenti. I tuoi e quelli del tuo utente che si spera diventi un cliente che ti accompagni finché morte o competitor non vi separi.
Bando alle ciance, prepara i pop corn, mettiti comodo e inizia a seguire il primo episodio della Serie Web (in testa) che racconta la storia d’amore tra Brand e Customer.
Episodio 1- Brand
Brand è sempre sulla bocca di tutti. Sarà perché è giovane e dinamico, leader a 360°, influencer – anche un po’ virale – guru esperto, evangelist 2.0 e pure paladino della digital transformation. Insomma nell’arte della titolazione, delle buzzword e della visibilità non lo batte nessuno. Che importa se non ha mai operativamente lavorato per qualcuno disposto a dare parte del suo reddito in cambio dei suoi servigi. Lui ha millemila follower che alimentano la sua reputation. Ovviamente parla dei need dei prospect da targettizzare anche se il suo business model non matcha con le personas skillate che continuano a cercare il cat che ahimè, non è under the table.
Ho esagerato, vero?
Però.
Quanti Brand non hanno una personalità? Quanti hanno paura di inseguire l’unicità, di raccontarla attraverso contenuti, canali e stili propri? Quanti copiano e incollano quello che fanno i concorrenti sperando di ottenere gli stessi risultati? Quanti invece sono concentrati su di sé (e fanno quello che fanno solo per se stessi) riflettendo sempre troppo poco sul destinatario della loro comunicazione? E poi, tutto ‘sto inglese è davvero necessario?
Il primo ingrediente: la semplicità
La semplicità è il primo ingrediente della customer experience. Se gli altri devono sentire quello che abbiamo da dire, dobbiamo essere trasparenti e fluidamente coordinati a livello di linguaggio su tutti i canali, on e offline, che utilizziamo per dialogare con loro. E se è vero che il nostro brand dobbiamo pensarlo come se fosse una persona in carne ed ossa, con un carattere, pregi e difetti, un modo di parlare, di vestire e di interagire, il suo atteggiamento sarà quello che agevolerà il contatto con l’altro.
Lo confesso, il Brand che ti ho presentato è stato scartato ai casting, anche se era più visibile di altri. Per la nostra storia ne abbiamo scelto uno più credibile. Curioso di conoscerlo?
Te lo presento la prossima puntata, quando avrai modo di conoscere anche Customer.
A proposito, tu come te lo immagini? Parliamone insieme e scarica subito l’anteprima di “Customer Experience” !
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Giada Cipolletta
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