Elezioni europee 2019: un nuovo paradigma per il political digital strategist
/Le elezioni europee per il rinnovo dei membri del Parlamento Europeo previste il prossimo maggio (in Italia si vota in particolare domenica 26) si apprestano a diventare un appuntamento decisivo per un sperimentare un nuovo cambio di paradigma nella sempre più frenetica e mutevole professione del consulente politico-elettorale, e in particolare per la figura del political digital strategist.
Al di là delle sfide sovranazionali tra vecchie e nuove famiglie politiche europee, saranno tanti i candidati che dovranno spiegare agli elettori i motivi per cui possano risultare più credibili di altri a portare le loro istanze nel Parlamento Europeo, istituzione percepita come distante e poco utile a soddisfare le esigenze quotidiane dei cittadini.
In particolare, in Italia, dove solo il 27% dei cittadini ritiene che la propria voce conti nelle istituzioni europee (nell’Europa a 27 la media è del 45%, con punte del 65% in Germania e alcuni Paesi Scandinavi), i candidati devono affrontare la sfida di un sistema delle preferenze che li mette in competizione su territori molti ampi (basti pensare alla circoscrizione Sud, che mette insieme regioni popolose come Campania e Puglia, insieme ad Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria), e quindi inevitabilmente a contatto (diretto o indiretto) con gli elettori.
Non è stato quindi caso che, se nel corso della campagna per le elezioni europee 2009 sono nati i primi pionieristici siti web dei candidati, le ultime elezioni europee (2014) abbiano segnato, invece, per la prima volta, l’ingresso, in maniera importante e decisiva, dei social network come strumento di comunicazione politico-elettorale (in maniera peraltro strettamente connessa con un sistema elettorale basato sulle preferenze, come hanno dimostrato anche le elezioni regionali dell’anno successivo).
Passati ormai cinque anni dalle prime statiche pagine Facebook dei candidati, non solo la sfida si moltiplica su nuovi social (Instagram su tutti) e nuovi sistemi di comunicazione diretta con i cittadini (Telegram e ancor più Whatsapp), ma soprattutto cambiano modalità e fini dell’utilizzo di questi strumenti in campagna elettorale.
In particolare, i trend emergenti sembrano rafforzare l’idea che social network (e affini) possano essere utilizzati per ricercare un rapporto più stretto con il territorio, e in particolare con giornalisti e militanti, che spesso costituiscono i primi stakeholders di una campagna elettorale, in quanti deputati, rispettivamente, a diffondere il messaggio politico-elettorale sui media (tradizionali e digitali), e nei quartieri, rioni, isolati e condomini in cui fisicamente va ricercato il consenso.
A seguito dell’introduzione della possibilità di pubblicare video in diretta, i soggetti politici hanno immediatamente colto le potenzialità del live streaming, sia come strumento di comunicazione istituzionale con i cittadini, sia chiaramente a fini elettorali, per la diffusione di messaggi o la trasmissione di veri e propri comizi (tenuti dalla propria scrivania, piuttosto che dalla piazza) in diretta.
Negli ultimi mesi, però, le dirette social da parte di esponenti politici con importanti ruoli di governo hanno sostituito, in una nuova e ancora più spinta ibridazione tra comunicazione istituzionale e politica, comunicati stampa, dichiarazioni e veline, diventando fonte privilegiata per i giornalisti, che riprendono integralmente temi, contenuti e frame dei videomessaggi dei leader politici, se non addirittura (sia in tv sia online) spezzoni del video appena trasmesso su Facebook o Instagram.
Si tratta di una tendenza che certamente sarà rafforzata e ripresa da molti candidati durante la campagna elettorale per le europee secondo soluzioni e programmazioni (qualcuno si spinge anche a parlare di veri e propri palinsesti) che dovranno essere condivise tra social media manager e responsabile dell’ufficio stampa nei team di campagna elettorale, o che saranno determinate dallo specifico expertise dei political digital strategist.
Per quanto riguarda invece militanti e attivisti di partito, l’unione tra analisi dei big data provenienti dal web 2.0 e organizzazione capillare di una rete di volontari promettono, per chi le saprà cogliere, inedite possibilità nella gestione della campagna elettorale e nella ricerca del consenso sul territorio, che torna ad essere, letteralmente, porta-a-porta.
I big data consentono infatti un passaggio epocale nella comunicazione politica, ovvero il superamento della divisione degli elettori in target basati su gruppi demografici e sociali, a favore della personalizzazione della comunicazione elettorale determinata da precise tecniche di micro-target (basate sulla conoscenza dei profili dettagliati degli elettori) e successiva customizzazione dei messaggi. Tramite il web diventa infatti possibile acquisire una vasta mole di dati su abitudini e attitudini (elettorali, di consumo, socio-culturali, ecc.) dell’elettorato, analizzarli, identificare micro-cluster di elettori tra loro omogeni (micro-target) e confezionare messaggi di comunicazione estremamente mirati.
Queste nuove dinamiche investono non solo la sfera della comunicazione ma anche quella dell’organizzazione, con particolare riferimento alla mobilitazione dei militanti sul territorio. In un epoca di “risorse” scarse (a causa della crisi delle organizzazioni-partito), i candidati sono infatti costretti ad affidarsi a circuiti di volontari.
Grazie all’integrazione tra strumenti di profilazione degli elettori e tecniche di mappatura su base geografica, non solo i cittadini più impegnati possono essere guidati in maniera razionale e strategica dal team che coordina la campagna elettorale, ma torna prepotentemente in campo anche il rapporto del candidato con il territorio. Superata la fase dei comizi (funzione assunta dalle dirette Facebook), il candidato potrà essere sempre più presente ad incontri e appuntamenti con i singoli elettori, entrando in maniera discreta ma decisa nelle case e nei luoghi che i diversi cittadini (rientranti in distinti micro-target a cui veicolare distinti messaggi politici) abitano e vivono quotidianamente.
L’organizzazione di campagne elettorali data-driven si pone all’interno di un nuovo paradigma della comunicazione elettorale, che partita dalla ricerca del consenso si era rivolta, nei primi anni dei social network, alla ricerca della conversazione con gli utenti, per ritornare oggi – quando non a caso gli stessi social network vengono intesi come piattaforme digitali – alla ricerca del consenso tra i cittadini/elettori (in maniera del tutto diversa nelle forme e nelle modalità operative).
Questa ennesima mutazione di paradigma può essere vista come un nuovo esempio del sempre più mutevole rapporto tra sfera politica e piattaforme digitali, che, proprio a causa di questi inediti percorsi e di queste repentine torsioni, rischia di restare contradditorio e indecifrabile anche tra studenti e professionisti della comunicazione, come già avevo segnalato ai lettori di questo blog un paio di anni fa[2].
La prima risposta a questa esigenza di comprendere e decifrare i nuovi fenomeni della politica in Rete era stata la pubblicazione (ovviamente per i tipi di Dario Flaccovio Editore) di un manuale, Political Digital Strategy. Come fare campagna elettorale online (qui un’anteprima), specificamente rivolto agli aspiranti professionisti del settore. Provando ad unire in maniera complementare teoria e pratica, il manuale aveva l’obiettivo di fornire una “cassetta degli attrezzi” utile a inquadrare il perimetro di una nuova professione, il political digital strategist, che anche in questo articolo è stato più volte chiamato in causa. Si tratta, in particolare, di una figura inedita nei team di campagna elettorale, in grado di far dialogare web e territorio, e di gestire, allo stesso tempo, palinsesti di dirette Facebook del candidato, e una fitta e sempre mutevole agenda di incontri sul territorio da parte del candidato, dettata dalle mappe geografiche popolate dai micro-dati di ogni elettore.
A due anni di distanza, l’esigenza di aggiornamento costante vissuta da queste nuove figure professionali mi ha portato invece ad accettare l’incarico di coordinatore scientifico di un Executive Master in Digital Political Management, promosso dalla Business School Masterandskills, che si svolgerà a Napoli, presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, tutti i venerdì di marzo per un totale di 40 ore tra aula e laboratorio. Qui potete dare un occhiata ai contenuti formativi e alla modalità di partecipazione al corso, inedito nel Sud Italia, e che arriva in tempo per preparare gli aspiranti consulenti elettorali alla sfida delle europee 2019.
Francesco Marrazzo