SEO e Social Media, l’anello mancante
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In principio c’era la SEO. I siti web venivano ottimizzati lato codice e quello che c’era scritto nelle pagine contava meno rispetto ai link in ingresso e alle tecniche black hat onpage. Poi arrivarono i social network e tutti ci ricordammo che alle elementari avevamo quella compagna di banco di cui eravamo segretamente innamorati… e chissà che fine avrà fatto, boh. Nel 2009, un annetto dopo l’esplosione di Facebook in Italia, si cominciò a parlare di come sfruttare queste gigantesche piattaforme per promuovere le aziende e i loro servizi sul web. Vennero fuori i “pionieri”. All’epoca Facebook era (parecchio) meno sviluppato di oggi e anche le persone erano diverse. Creavi una pagina FB, la suggerivi a tutti i tuoi amici e loro cliccavano “Mi piace” in massa, una vera follia! Ottenere 5.000 fan con la pagina di un b&b era facilissimo. Se provi a fare la stessa cosa oggi il risultato è molto diverso… perché?
People have the power
Dal 2009 a oggi sono certamente cambiate tante cose a livello tecnico, ma i cambiamenti più profondi sono tutti a livello cognitivo e sociale. La comunicazione si fa più compiutamente orizzontale ogni giorno, e passa sempre più la percezione che le aziende sono fatte da persone e che sono queste a fare le cose, a contare. I social media “cosi”, ma soprattutto i community manager, sono oggi intessitori di relazioni, conoscitori attenti delle dinamiche relazionali, insomma, è gente che deve saper campare, parola di Francesco Amadori.
SEO e Social Media in tre parole
Meccanismi di validazione, ecco cos’è cambiato. Non sono più le aziende a dirci cosa dobbiamo comprare, non sono più i testimonial a muovere le decisioni d’acquisto ma le persone credibili, gli influencer, soggetti riconosciuti per essere esperti in un ambito, reputati tali da altri esperti.
In questo panorama si sviluppa anche il modo in cui Google attribuisce valore a un documento web. Ai fattori endogeni ed esogeni di tipo tradizionale, cioè, al valore di un contenuto e alla sua popolarità riconosciuta in termini di link (veri) in ingresso, si unisce la validazione sociale dell’autore, che puoi chiamare author rank.
Ma l’author rank ha davvero un peso sul ranking di un contenuto?
Mettiamola così, Google investe sempre più risorse per determinare chi si occupa di cosa e a quale livello. Quest’affermazione non ti stupirà, perché sai bene che Google ha interesse a profilarci con sempre maggiore accuratezza per proporci inserzioni pubblicitarie e SERP più rispondenti ai nostri reali interessi. Il motore di ricerca è programmato per dare valore ai contenuti, quando questi contenuti sono espressi da “certe” persone. Parafrasando MacLuhan, se il medium è il messaggio, le persone sono i contenuti che producono, almeno per Google. Più la comunicazione si fa orizzontale, più quest’affermazione è vera.
Attirare segnali
Ecco perché i confini tra mondo SEO e social si assottigliano. Google commette ancora un sacco di errori. Alcuni di questi dipendono dal fatto che i miei colleghi sono (e saranno sempre) più intelligenti di un software, ma quelli che mi interessano di più sono gli “errori” di attribuzione legati alla percezione dell’autorevolezza di una fonte. Mi interessano perché non sono il bug di un software. Google è programmato per dare credito all’autorità riconosciuta, quella delle aziende e delle “persone” che vengono menzionate o chiamate in causa da tante persone o da altri esperti. I segnali sociali sono già un fattore di ranking potente. Molti SEO non lo credono perché non sono ancora riusciti a innescarli nella giusta misura, altri semplicemente perché non hanno ancora capito di cosa parliamo.
Francesco Margherita
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